San Martino, il mito e le storie incredibili del Manghen: ecco dove osano le aquile
La “Manghen”, 22,01 chilometri di speciale da affrontare due volte, nessun ritocco alla mitica prova
I rallisti duri e puri lo chiedono sempre: “Ma quest’anno c’è il Manghen?”. E dipende spesso da una risposta affermativa se poi decidono di iscriversi al Rallye San Martino (in programma il 5 e 6 settembre prossimi), perché la prova speciale che transita a quota 2047 sulla catena del Lagorai fa parte del mito, racchiude storie incredibili, consegna porzioni di orgoglio a ogni equipaggio che si migliora tra un giro e l’altro.
Il Rally 2020 proporrà la speciale due volte sabato 5 settembre: Ps 1 alle 9.47, Ps 4 alle 14.47. Tracciato immutato rispetto alla scorsa edizione: 22,01 chilometri che daranno l’imprinting di gara a tutti i concorrenti, orfani della prova spettacolo del venerdì sera che serviva a entrare nel clima di derapata e controsterzo senza distacchi profondi. Mister Covid-19, ormai colpevole di ogni mutazione (anche di sé stesso), ha costretto gli organizzatori dei rally a evitare situazione di contatto con il pubblico, allontanando la corsa dai centri abitati. Quindi niente sfida cittadina a San Martino per il secondo round del campionato italiano WRC, si comincerà col Manghen e per assistere al ripetersi del rito rombante bisognerà arrampicarsi dove osano le aquile. Sul piano dei ricordi, uno speciale ce l’hanno senza dubbio Michele Piccolotto e Gianni Marchi, quando nel 2010 la loro Fiat Punto S2000 restò per quasi mezza misura sull’orlo del precipizio.
“Avevamo preso un bel ritmo – racconta il pilota bassanese – e la macchina non era malvagia. Subito dopo il passo comincia la discesa, c’è una curva a sinistra che chiude e invece di scalare misi dentro una marcia. Incredibilmente riuscii a bloccare l’auto in bilico sopra un masso con due ruote all’aria. Gianni aprì la porta e mi disse “guarda Michele che sotto non c’è niente”. Allora con circospezione, cercando di evitare il minimo basculamento dell’auto, decidemmo di uscire dal retro, prima lui e poi io, fuori dal portellone posteriore infilandoci tra il roll-bar. Avventura a lieto fine, altrimenti non sarei qui a raccontarla”. Da allora ad inizio discesa è stata sistemata una barriera protettiva in cemento.
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